Istituto comprensivo paritario cattolico

Amoris Laetitia – qual è lo stato di salute delle nostre famiglie?

I numeri 289 e 290 chiudono il capitolo VII dell’Amoris Laetitia. E lo fanno proponendo una specie di esame di coscienza o meglio un criterio di verifica circa lo stato di salute delle nostre famiglie, in particolare di quante sentono di riconoscersi all’interno dell’esperienza cristiana. Un’esperienza che non potrà mai esaurirsi in dichiarazioni verbali cui non fanno seguito scelte certamente impegnative, ma decisive al fine di offrire ai figli la possibilità di percepire l’orizzonte della fede come qualcosa di affascinante. Il Papa non esita a parlare di “missionarietà”, cioè di uno stile capace di rompere quel guscio di stantio perbenismo individualistico che rende la fede cristiana una etichetta, magari ostentata, ma a cui non corrisponde nulla di significativo. Una missionarietà da vivere più che da predicare, fatta di sensibilità verso i più bisognosi, espressione di una scoperta grande: “l’amore del Padre che ci sostiene e ci fa crescere, manifestato nel dono totale di Gesù, vivo tra noi, che ci rende capaci di affrontare uniti tutte le tempeste e tutte le fasi della vita”. Con una domanda che mi inquieta e insieme mi appassiona: in che modo una scuola come la Santa Caterina può sostenere la crescita di famiglie così?

Don Roberto Davanzo

Gestore dell’Istituto S. Caterina da Siena

 


Amoris Laetitia – 289 – 290 – Salute della Famiglia


"Amoris Laetitia - 289". L’esercizio di trasmettere ai figli la fede, nel senso di facilitare la sua espressione e la sua crescita, permette che la famiglia diventi evangelizzatrice, e che spontaneamente inizi a trasmetterla a tutti coloro che le si accostano, anche al di fuori dello stesso ambiente familiare. I figli che crescono in famiglie missionarie spesso diventano missionari, se i genitori sanno vivere questo compito in modo tale che gli altri li sentano vicini e amichevoli, e così che i figli crescano in questo stile di relazione con il mondo, senza rinunciare alla propria fede e alle proprie convinzioni. Ricordiamo che Gesù stesso mangiava e beveva con i peccatori (cfr Mc 2,16; Mt 11,19), poteva fermarsi a conversare con la samaritana (cfr Gv 4,7-26), e ricevere Nicodemo di notte (cfr Gv 3,1-21), si lasciava ungere i piedi da una donna prostituta (cfr Lc 7,36-50), e non esitava a toccare i malati (cfr Mc 1,40-45; 7,33). Lo stesso facevano i suoi apostoli, che non erano persone sprezzanti verso gli altri, reclusi in piccoli gruppi di eletti, isolati dalla vita della gente. Mentre le autorità li perseguitavano, loro godevano della simpatia di tutto il popolo (cfr At 2,47; 4,21.33; 5,13).

"Amoris Laetitia - 290". «La famiglia si costituisce così come soggetto dell’azione pastorale attraverso l’annuncio esplicito del Vangelo e l’eredità di molteplici forme di testimonianza: la solidarietà verso i poveri, l’apertura alla diversità delle persone, la custodia del creato, la solidarietà morale e materiale verso le altre famiglie soprattutto verso le più bisognose, l’impegno per la promozione del bene comune anche mediante la trasformazione delle strutture sociali ingiuste, a partire dal territorio nel quale essa vive, praticando le opere di misericordia corporale e spirituale».[310] Ciò va collocato nel quadro della convinzione più preziosa dei cristiani: l’amore del Padre che ci sostiene e ci fa crescere, manifestato nel dono totale di Gesù, vivo tra noi, che ci rende capaci di affrontare uniti tutte le tempeste e tutte le fasi della vita. Anche nel cuore di ogni famiglia bisogna far risuonare il kerygma, in ogni occasione opportuna e non opportuna, perché illumini il cammino. Tutti dovremmo poter dire, a partire dal vissuto nelle nostre famiglie: «Noi abbiamo creduto all’amore che Dio ha per noi» (1 Gv 4,16). Solo a partire da questa esperienza, la pastorale familiare potrà ottenere che le famiglie siano al tempo stesso Chiese domestiche e fermento evangelizzatore nella società.

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